In tutta sincerità, non avevo troppa voglia di stroncare Elise. In fondo, sulla carta è un gioco simpatico. Parliamo di un survival horror con zombi che scimmiotta Resident Evil, con la telecamera piazzata alle spalle della protagonista come nel quarto capitolo della serie di Capcom. Niente di troppo originale, niente che altri non abbiano già fatto.
Ha anche dietro la solita storia edificante dell’eroico sviluppatore solitario che va a sfidare i colossi del settore. Sembrava perfetto per guadagnare abbonati alla newsletter e strapparvi qualche calda lacrima di approvazione. Una di quelle leggende da raccontare ai nipoti attorno a un fuoco.
Purtroppo Elise è il festival dei bug; un gioco da evitare anche se costa davvero poco (5 euro). Di solito non parlo volentieri dei bug, perché li considero una tenda dietro cui nascondersi. In fondo chi ne parla ossessivamente denota solo una certa mancanza di coraggio e una scarsa capacità di analisi del valore effettivo di un’esperienza videoludica. Sono facili sia da vedere che da raccontare. Però qui sono inevitabili, perché fanno quasi l’intera esperienza, sin dalla sequenza iniziale, in cui può capitarvi di non capire niente, tra sottotitoli che si sovrappongono, scene che si ripetono, filmati che partono senza motivo e altre catastrofi.
Poi inizia il gioco vero e proprio... La protagonista è all’interno di un bunker sotterraneo pieno di rifornimenti. Piglia la pistola dal cadavere di quello che presumibilmente l’ha salvata poche ore prima e si ritrova in una villa infestata con annesso laboratorio di ricerca in cui sono successe le classiche cose indicibili. Ad esempio sono stati creati degli zombi particolarmente stupidi, che a volte non riescono a seguire nemmeno il percorso per raggiungere la loro preda e che quando muoino si contorcono come dei Barbapapà. Ho fatto un video, guardatelo perché dice davvero tutto quello che c’è da dire sul gioco.
In Elise non c’è niente che funziona, tra la quantità immane di risorse, più da Call of Duty che da survival horror (nonostante l’inventario limitato); tra le decine di chiavi ottocentesche da trovare e raccogliere, identiche per qualsiasi tipo di serratura, elettronica o a cilindro che sia; tra i nemici posizionati dietro le porte, impossibili da evitare; tra i punti di salvataggio posizionati a distanze siderali, che costringono a rifare lunghe parti del gioco in caso di morte prematura; tra gli oggetti dell’inventario che spariscono, mandando all’aria l’intera partita. Basta dai, avete capito. Anzi no, ho dimenticato gli orridi effetti sonori, che sono il chiodo sulla bara della già compromessa atmosfera. Non si prova mai paura e non c’è mai tensione, a parte quando si aprono le porte e si spera di non essere afferrati da qualche zombi a caso.
Chiaramente non ho finito Elise e non ho alcun interesse a farlo. Aggiungo un dettagli, apparentemente insignificante, ma che è utile per far capire la cura posta in fase di scrittura e composizione dello scenario: dentro la villa si trova un documento in cui c’è scritto che i precedenti occupanti hanno finito i rifornimenti e si guardano a vicenda con l’acquolina in bocca… peccato che abbiano sotto ai piedi un bunker pieno di scaffali straripanti di roba e che ci siano così tanti proiettili in giro da poter fermare comodamente l’intera apocalisse zombi, così da uscire e andare a fare la spesa. Lasciatelo perdere, dai.